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Scuola impossibile: che gloria c'è?
Di zia Manu (del 10/05/2011 @ 20:16:26, in Parliamo di...)

E’ vero che negli anni scorsi il livello della preparazione scolastica era inesorabilmente scaduto, tanto che dagli istituti superiori uscivano licenziati privi di qualsiasi formazione interiore e materiale per la vita futura. Democratizzazione e partecipazione (concetti ottimi di per sé, ma attuati in maniera deteriore) si erano tradotte nello svuotamento di contenuti culturali e nell’affidamento dei programmi di studio alla buona volontà e discrezionalità dei docenti. Basso il livello di preparazione ottenuta con la licenza media, basso –a rigore di logica- il livello dei licei a seguire, bassa la qualità degli studi universitari, dopo i quali una massa di ignoranti (fuori corso da tempo indeterminato), pieni di pretese e spesso incapaci dal punto di vista professionale, alimentava le file dei disoccupati cronici.

Un rimedio era d’obbligo, ma ciò che è stato fatto è davvero positivamente produttivo? L’esame di licenza elementare ormai non esiste più: era un piccolo scoglio che però garantiva, anzi imponeva il completamento entro il ciclo dei cinque anni di tanti discorsi che adesso restano a metà. I programmi di storia e geografia, svolti dalla terza alla quinta classe, sono stati decurtati in modo indecente, imponendo una frettolosa rincorsa in prima media ed una mole di lavoro spropositata in seconda. Il pessimo rapporto fra argomenti da svolgere e ore disponibili non permette di costruire né di assimilare un discorso organico nel tempo e nello spazio, la memoria non viene più esercitata a crescere e le verifiche non stimolano le capacità espositive. Per di più l’uso-abuso dei mezzi informatici (fautori di distrazione più che di formazione) va a discapito della capacità di concentrazione, che dagli studenti di questa generazione viene elargita con il contagocce.

I test invalsi dovrebbero rappresentare la bacchetta magica capace di risolvere i problemi dell’istruzione primaria, garantendo credibilità alla scuola dell’obbligo? Sono, al contrario, una trappola inutile, una serie di domande in parte estranee al contenuto dei programmi svolti e di fronte alle quali spesso i più bravi rimangono spiazzati: a dispetto dei loro sforzi coscienziosi il voto finale ne risente, e restano comunque privi del benché minimo orientamento per la scelta futura. Timidamente, sporadicamente qualche insegnante di lettere tenta di proporre un po’ di latino in terza media: non essendo materia “ufficiale” viene considerato una specie di hobby, ed in genere abbandonato dopo qualche lezione.

I ragazzi che affluiscono in massa ai licei “nobili” (classico e scientifico) sono totalmente inconsapevoli di ciò che li aspetta, ed i primi due anni sono per molti catastrofici. Questo anche perché l’impostazione tradizionale dei testi è stata sostituita da quella ad “unità didattiche”  che non offre parametri solidi di catalogazione mentale, richiedendo per di più capacità cognitive e critiche che un ragazzino non abituato a riflettere e ad interiorizzare non può possedere. Insomma, per superare  senza problemi il primo biennio di liceo bisognerebbe essere non solo lavoratori indefessi (e su questo potremmo anche concordare) ma anche geniali. L’alternativa sono gli istituti tecnici, le scuole professionali che affogano in un degrado senza fine: sono destinate agli ultimi (ma dove mai sta scritto???) e quindi sono spesso carenti –se non addirittura privi- di laboratori, attrezzature, materiali indispensabili e spesso anche di quei servizi essenziali per vivere con un minimo di confort nelle ore di lezione.

Aggiungiamo come ultimo ingrediente l’intransigenza di alcuni docenti di fronte a difficoltà che i ragazzi non possono superare, ad esempio gli scioperi del trasporto pubblico che ci affliggono periodicamente: cosa può fare chi va a scuola con il treno o la metro quando questi non funzionano? Ci si chiede a chi possa tornare utile questo desolante panorama: far confluire masse di studenti nella scuola privata è ormai incompatibile con le tasche di molti genitori, far ripiegare su lavori manuali e modesti i figli della nostra società è improponibile per la mentalità di tanta gente.

Criticavamo come esempio di negazione del principio di libera scelta i sistemi sociali che indirizzavano lo studente, a prescindere dalle sue inclinazioni, verso l’offerta concreta di lavoro: ma in un mondo in cui il poco lavoro che c’è, svalutato e disprezzato, viene lasciato con disgusto agli immigrati, in cui le aspirazioni dei nostri giovani partono già dai livelli dirigenziali mentre la scuola non solo non riesce a formare, ma è diventata pure difficile da portare a termine, viene da chiedersi quale altra prospettiva che abbia un minimo di credibilità ci possa essere offerta.

 

 

        

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