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Meno finanza e più sostanza
Di Lupoalfeo (del 06/02/2013 @ 23:06:43, in Parliamo di...)
Il dibattito elettorale smentisce i buoni propositi fatti prima della campagna elettorale, come la delegittimazione dei partiti, attraverso l’attacco ai suoi rappresentanti di spicco, o l’impegno ad avanzare proposte sostenibili scevre da demagogie.
Su questo fronte siamo all’iperbole, ognuno promette cose da tutti risapute ma mai attuate per le forti resistenze delle corporazioni che ne sarebbero state destinatarie; o annunciano provvedimenti avulsi dalla condizione economica in cui siamo e che ci è stata raccontata fino a ieri e su cui tutti concordavano.
Delle due l’una o ci prendevano in giro prima o adesso, in ogni caso dimostrano una totale estraneità ai veri problemi della gente visto che il loro vero unico problema è: vincere per gestire.
Da ultimo anzi, si è aggiunta l’appropriazione indebita del ricordo dei morti, specialmente degli eroi antimafia, da parte di moralisti dell’ultima ora.
Borsellino e Falcone vengono usati come l’effige di Garibaldi sui manifesti del “Fronte” contro la DC di De Gasperi nell’elezioni del 48 mentre, di quel periodo, quello che servirebbe è un vero piano per la ripresa per tornare a crescere
Sia dopo la crisi del 29 che nel dopoguerra, gli Stati adottarono dei piani per uscire dalla recessione e far ripartire la ripresa.
Negli USA dopo la crisi del 29 con il New Deal si ebbe la prima forma di Welfare State detto anche “Stato del Benessere” . Lo Stato comincio a svolgere un ruolo determinante nella dinamica economica istituzionale.
Successivamente al verificarsi della grande depressione in Gran Bretagna nascono le tesi economiche di John Keynes favorevole al “deficit spending” (spesa in disavanzo alle entrate tributarie) che con i piani di sicurezza sociale messi a punto da un liberale quale Sir William Beveridge, rettore dell’University College di Oxford, vengono considerati come le basi del moderno Welfare State. Il piano Beveridge presentato a Churchill nel 42 diventa operativo nel dopoguerra: con esso il cittadino si vede garantiti dallo Stato livelli minimi di sussistenza.
Per anni, questa politica che prevedeva la centralità dell’azione pubblica ha dato buoni risultati per le erogazioni prestate fino alla seconda metà degli anni ’70, quando a seguito della crisi petrolifera si verificò una nuova crisi che portò ad una bancarotta virtuale.
Con l’avvento di Margaret Thatcher, nel maggio del ’79, si avviò lo smantellamento del
Welfare State in Gran Bretagna.
Gli interventi drastici che portarono ad una perdita di posti di lavoro, all’aumento delle tasse indirette, rese possibile una diminuzione dei tassi d’interesse e una crescita economica di lungo periodo. Si avviarono quindi le prime privatizzazioni che riguardarono beni e settori di monopolio naturale, mettendo fine al modello Beveridge.
E’ chiaro che sono due modelli diversi d’intervento: più Stato o più privato.
La caratteristica che hanno è “l’organicità” di un disegno complessivo con misure che si integrano verso il medesimo obiettivo, da qui i risultati soddisfacenti per ambedue i modelli.
Da questo punto di vista, da sempre, o eludiamo i problemi o gli interventi proposti sono degli spot mediati dalla cultura del compromesso e della concertazione, quindi al ribasso.
Oggi davanti alla crisi  la classe politica  continua a balbettare fumose soluzioni che i cittadini non capiscono, ma ancor più grave è che spesso gli interventi sono scollegati e non tengono conto del quadro generale con il risultato che spesso impattano negativamente in altri campi. Manca il quadro d’insieme e una terapia d’urto come ricorda la Confindustria nel suo documento “Crescere si può, si deve”.
Per dirla alla “Beveridge”: -la piena occupazione produttiva in una società libera è possibile, ma non la si può realizzare agitando la bacchetta magica finanziaria.
Come a dire: meno finanza e più sostanza.
        

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