Nessuna faccia su quella bandiera
Di Admin (del 22/03/2013 @ 17:43:59, in Parliamo di...)
Di Emanuela Monego
Che strana sceneggiata si sta svolgendo fra India e Italia, a suon di imbrogli e colpi di scena sotto la luce livida dell’ambiguità più totale. Sarebbe persino divertente, se non ci fosse di mezzo la vita di due persone (sottufficiaIi della Marina Militare, non narcotrafficanti o terroristi), l’onorabilità dello Stato italiano, la credibilità di una missione internazionale cui dovremmo partecipare con gli stessi diritti e garanzie degli altri Paesi che vi hanno aderito. Assistiamo impotenti alle puntate sempre diverse da un anno a questa parte come spettatori impotenti, a volte perplessi, a volte sbalorditi, disgustati senza riserve di fronte al capitolo conclusivo.
All’inizio di tutta la vicenda sta la scusa bugiarda dell’India per farsi consegnare i due fucilieri, inducendo la nave italiana ad entrare nelle sue acque territoriali “per collaborare”: il primo nostro grave sbaglio, fidarsi dell’invito amichevole che racchiudeva un tranello. Ma l’Italia è un Paese di signori, certo, ed allora sceglie di partecipare con pazienza al ridicolo balletto, protrattosi per quasi un anno, di rinvii, traccheggi e rimbalzi che hanno davvero il sapore di una pretestuosa presa in giro. Finalmente i due tornano in famiglia per Natale, e chiunque abbia un briciolo di cervello avrà sicuramente pensato che fosse l’occasione giusta per farli restare salvi e sicuri a casa loro. Invece no, siamo uomini d’onore, rispettiamo l’impegno dato e rivogliamo la cauzione, quindi terminata la “mezz’ora d’aria” i due tornano in India, fra il plauso generale e le reciproche dimostrazioni di stima e rispetto da libro Cuore. E ricomincia da capo a dodici il macchinoso teatrino della giustizia indiana.
Ad un certo punto il miracolo: quaranta giorni per votare, stranissimo se si pensa che i due militari avrebbero potuto votare in ambasciata e che anche in patria le operazioni di voto hanno impegnato gli Italiani per un giorno e mezzo. In molti ci siamo chiesti cosa ci fosse dietro questa concessione così straordinariamente generosa, ed abbiamo sperato in un accordo sottobanco che ponesse fine alla tormentosa vicenda. Sul più bello invece arriva il “ruggito” di un governo ormai moribondo, che ansima ancora guai sulle nostre spalle solo perché non si riesce a decidere chi ne prenderà il posto: i due Marò restano in Italia, l’India ha violato le norme internazionali. Una constatazione quanto mai tardiva, inopportuna nella forma se non nella sostanza finalmente liberatoria: perché tuonare le proprie ragioni lealmente nei confronti di chi leale non è? Pare proprio che i tristi figuri che gestiscono questa sciagurata storia vogliano fare a gara di dabbenaggine. C’erano tanti altri modi, in un Paese dove spariscono documenti, prove, testimoni e delinquenti in carne e ossa, per far restare in Italia Girone e Latorre con pretesti incontestabili e protraibili all’infinito: motivi di salute, di famiglia, di burocrazia. Intanto ci sarebbe stato il tempo per tutelare l’ambasciatore Mancini, per salvare i nostri interessi e per far perdere agli Indiani tutto il tempo che hanno fatto perdere a noi. Sul campo dell’imbroglio non si può far altro che giocare da imbroglioni.
Ciò che ha fatto l’India per ripicca, minacciando il nostro diplomatico a dispetto di ogni consuetudine e convenzione, avrebbe dovuto stimolare un giusto risentimento in chi ci governa, provocare una palese risposta con i termini che la situazione meritava, e non ottenere la vergognosa resa che si è consumata in sole ventiquattr’ore, squallidamente frettolosa ancorché motivata in sede ufficiale con scuse ridicole quanto altisonanti. Abbiamo riconsegnato nelle loro mani i nostri soldati esponendoli a qualsiasi vendetta o rappresaglia (non aspettiamoci un atteggiamento amichevole nei loro confronti, dopo che pensavano fossero loro sfuggiti…), fingendo di credere a garanzie fasulle che possono essere rimangiate in qualunque momento, visto che chi le ha offerte ha affidabilità zero e visto che noi abbiamo dato pubblica prova di esserci rimangiati a nostra volta le promesse fatte. Valore zero ha dato il governo italiano alla vita dei due militari, all’affetto delle loro famiglie, alla rispettabilità del loro lavoro; e naturalmente nessuno fra gli illustri ministri responsabili di questa ignominiosa disfatta si è sentito colpevole, né tantomeno si è dimesso. Figuriamoci se poteva andar perso l’ultimo stipendio, prima che al “governo dei tecnici” che resterà nella nostra memoria per tante iatture si stacchi definitivamente la spina!
Possiamo pensare che sulla pelle dei due Marò si siano mercanteggiati accordi di altro genere, si siano rabberciate fratture economiche e commerciali: meglio sarebbe stato ammetterlo in modo sincero piuttosto che arrampicarsi sui vetri invocando l’onore. Visto dal di fuori l’esito di questo triste capitolo (compreso il destino infausto che sicuramente incombe sui due) ricorda gli aneddoti storici dell’antica Sparta, o della Roma repubblicana, o dei moti risorgimentali: tornare indietro a morire ammazzati per tener fede alla parola data e per il sacro nome della Patria. Solo che allora c’erano ideali da salvare, ora no: è ormai sbagliato credere, è sbagliato fidarsi, è sbagliato dare la propria adesione per qualsiasi tipo di militanza sotto la bandiera di una Nazione che di faccia non ne ha più, neanche un filo. Vergogna eterna ricada dunque su chi di tanta vergogna si è reso colpevole.